Giovanni Piccamiglio

Giovanni Piccamiglio, banchiere e assicuratore, si rifugia a Savignone probabilmente già alle prime avvisaglie della peste. La sua famiglia viene così risparmiata dal contagio, che compare nel suo libro di conti solo in riferimento alle spese che si farà rifondere dalla sorella Pomelina per la fuga di questa da Genova e per l’ospitalità data a lei e alla sua schiava per 7 mesi.
Il libro di conti di Giovanni Piccamiglio delinea, per gli anni dal 1456 al 1459, il ritratto di un mercante non più attivo in maniera diretta nell’ars mercandi ma impegnato in tutti i settori di utilizzo del credito: prestiti, cambi, assicurazioni, titoli di Stato, proprietà immobiliari. E’ un uomo già adulto, responsabile di una famiglia numerosa: la moglie, Maddalena, che gestisce le spese minute per la casa; tre figlie femmine, Marietina, Brigidina e Violantina, quest’ultima abbastanza grande da andare in sposa nel 1458; due figli maschi, Cosmelino e Battistino, ancora in fasce, affidati a balia a due donne di Ceva. A questi si aggiungono tre schiave e un ragazzo, Valentino, forse il garzone di bottega. Il registro nomina altri familiari e parenti stretti: la madre Isabella; la sorella Pomelina, vedova di Ludovico Spinola; i fratelli Tommaso, Gregorio e Nicolò, che esercitano la mercatura sulle piazze estere; i suoceri, Iacopo Fieschi de Caneto e Marieta, e il cognato Gregorio; Pometa, vedova di Ambrogio Piccamiglio.
Le registrazioni dedicate all’attività commerciale, piuttosto rare, riguardano partite di lacca, guado e armi; quelle relative a generi alimentari sembrano destinate al consumo domestico di una famiglia numerosa, per la quale si compra all’ingrosso: grano di Provenza, Lombardia, Spagna, Corsica, Barberia; formaggi di Sardegna e Sicilia, pesce conservato (tonno, caviale, musciame), olio, maiale da salare, spezie, zucchero, pepe. Qualche dubbio per il vino, in quantità piuttosto elevate e sempre di pregio: rossi di Celle, Ventimiglia, Lombardia; bianco di Moneglia; roxecio di Taggia; nebbiolo. Fieno e avena per la mula. I tessuti, di preferenza importati dall’Inghilterra, sono destinati alle donne di famiglia ma anche al padrone di casa, che veste con ricercatezza: panni di Londra e di Genova, fodere di pelliccia, colori vivaci anche per la familia: rosso per Valentino (le calige, una cappa), verde per le schiave.
Giovanni pratica prestiti e cambi, soprattutto sulle piazze di Londra, Bruges e Siviglia; compra, vende e gestisce titoli di San Giorgio, per cifre considerevoli, per sé e per i congiunti. Il suo patrimonio immobiliare comprende a Genova diverse case, avute in eredità da congiunti: una casa di villeggiatura a Sampierdarena sive Gagiano; altre case e botteghe di cui percepisce gli affitti. Non mancano le perdite, ma si tratta dei normali incerti del mestiere, per un uomo che dispone di larghi mezzi e può pagare de bona moneta, senza dilazioni, le spese del matrimonio della figlia Violantina, a partire dalla ricca dote di 3000 lire, versata al genero Tommaso di Savignone. Il corredo della sposa ne costa altre 657, ma è di tutto rispetto: panni di Londra e Milano, velluti, broccati, fustagno; camicie di tela; fodere di martora e agnello inglese; tovaglie di Bruges; cofani e cofanetti; diverse borse, di cui una pro sponsa; cinture e accessori; gioielli in argento. Per le nozze - che a Genova possono durare fino a tre giorni - un solo pranzo e una cena, ma con stile: alle pietanze pensa un cuoco, il vetraio rinnova la tavola, si comprano spezie, galline, un pan di zucchero et aliis diversis, per una spesa totale di 50 lire.
Di lì a poco, la peste che infuria a Genova porterà altri esborsi, vetture e spese straordinarie per il viaggio della sorella Pomelina a Savignone, in fugiendo epidimiam. Per la salvezza dell’anima Giovanni ha già provveduto, anche per madre e moglie, con l’acquisto dell’indulgenza plenaria in vita et morte, concessa dal papa per la difesa contro i turchi degli insediamenti genovesi nel Mar Nero. Un buon affare – costato solo quattro soldi più del pranzo di nozze – per un mercante oculato e attento, che ha posto sotto la protezione divina il suo libro di conti, scriptum ad honorem Trinitatis, Beatissime Marie semper virginis et totius churie celestis.



1458, febbraio 11
Giovanni Piccamiglio annota nel suo libro di conti le spese per il banchetto nuziale della figlia Violantina, andata in sposa a Tommaso di Savignone.

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AS Ge, Archivio di San Giorgio, sala 38, n. 74, c. 61; Edizione: Le Livre de comptes de Giovanni Piccamiglio homme d’affaires génois. 1456-1459, a cura di J. Heers, Paris 1959.



1458, novembre 3
Computo delle spese addebitate da Giovanni Piccamiglio alla sorella Pomelina per lo
scotto (vitto e alloggio) di sette mesi, per se stessa e la sua schiava, e per la vettura che le ha condotte a Savignone in fuga dalla peste.

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AS Ge, Archivio di San Giorgio, sala 38, n. 74, c. 48.



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